Si deve subito precisare come non possa soccorrere, all’uopo, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., l’art. 2697 Cod. Civ.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura, infatti, soltanto allorquando il giudice abbia gravato dell’onere probatorio una parte diversa da quella che, viceversa, avrebbe dovuto sostenerne l’onere, secondo le regole dettate dalla predetta norma sostanziale.
Esulerebbe quindi, dal perimetro dell’art. 2697 c.c., quella doglianza attraverso cui il ricorrente, dovesse imputare al giudice che questi, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia errato nel ritenere che la parte che ne fosse onerata abbia assolto tale onere, giacchè, in tale ipotesi, vi sarebbe soltanto una erronea valutazione dell’esito della prova.
L’asserito maldestro esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, da parte del giudice di merito, non dà luogo, ahimè, ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29001): principio più di recente ribadito da Cass. civ., sez. III, 27/02/2023, n.5810, la quale puntualizza che “esso non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
Il giudizio di cassazione è infatti un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale, esercitando un controllo sulla legalità e logicità della decisione, che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
Nel giudizio di cassazione può esclusivamente vagliarsi l’esatta applicazione, da parte del giudice di prossimità, delle sole norme di diritto, volte a convogliare la valutazione all’interno dei binari della non discrezionalità (Cass. civ., sez. I, 20/10/2021, n.29246).
La morale è quindi che, se non ci si può dolere di come il giudice di merito abbia vagliato e soppesato le prove non legali, può invece senz’altro dedursi, come vizio di legittimità, e in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.:
a) la violazione dell’ 115 c.p.c., denunciando, ad esempio, che il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa, così esondando dai poteri officiosi riconosciutigli;
b) la violazione dell’ 116 c.p.c. (norma sancente il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), dolendosi, nel motivo, di come il giudice di merito si sia scostato da tale principio, malgrado l’assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, al contrario, di come abbia valutato secondo il suo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (ex permultis, Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).