La violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., può prospettarsi esclusivamente quando il giudice di merito abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza, ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non già quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito.
Quindi, se il difensore deducesse l’erroneità e/o opinabilità dell’inferenza probatoria ricavata dal giudice, in relazione ai fatti presuntivi in concreto da quest’ultimo selezionati, tale doglianza si collocherebbe, senz’ombra di dubbio, al di fuori del perimetro morfologico del giudizio di cassazione, con conseguente inammissibilità del motivo così congegnato.
Ciò, accadrebbe, ad esempio, se, in tema di colpa, il motivo si limitasse a stigmatizzare l’apprezzamento del valore attribuito alle circostanze di fatto, ai fini del giudizio sul comportamento dell’agente, in relazione ai parametri dell’ordinaria diligenza.
Il ricorrente, tuttavia, potrebbe ben confezionare un motivo di ricorso tramite cui contestare l’intrinseca qualità rappresentativa, in sé e per sé considerata, dei fatti valorizzati dal giudice, rimarcando la loro inadeguatezza a integrare gli estremi della gravità, precisione e concordanza, di cui all’art. 2729 Cod. Civ.
Il difensore dovrebbe denunziare, all’uopo, che le circostanze di fatto valorizzate dal giudice a quo sul piano presuntivo, non possano in alcun modo, viceversa, ritenersi tali da integrare – nemmeno all’esito di una valutazione combinata e comprensiva delle diverse occorrenze richiamate – gli estremi di un plesso rappresentativo, il quale sia effettivamente munito di gravità, precisione e concordanza.
Ciò perché all’esito della predetta valutazione d’insieme permane, magari anche sul piano della costruzione logica dei significati, l’equivocità, se non l’insignificanza in sé, dei generici dati informativi richiamati dal giudice di merito, ai fini della valutazione in concreto del comportamento specificamente adottato, nella specie, dal debitore.
E, in ambito di giudizio di colpa, si potrebbe allora ben dedurre l’inidoneità, in sé, del comportamento dell’agente, quale obiettivamente ricostruito dal giudice di merito, a poter essere configurato come un comportamento esecutivo, consono alle regole di diligenza in concreto applicabili.
Orbene, doglianze così strutturate correrebbero fluidamente lungo i binari della falsa applicazione di legge (art. 360, n. 3, c.p.c.), senza quindi cadere sotto la scure dell’inammissibilità, giacchè il ricorrente, in ultima analisi, rimprovera al giudice di merito un’erronea sussunzione dei fatti, tali e quali dal medesimo selezionati (fattispecie concreta), entro gli schemi normativi astratti previsti dalla disciplina normativa della prova presuntiva (fattispecie astratta), ovvero di aver affermato la responsabilità del debitore sulla base di prove presuntive, le quali si atteggiano, purtuttavia, come non gravi, né precise, né concordanti.