Precipitati dell’autosufficienza, in un ambiente di impugnazione a motivi tipizzati qual è il ricorso per cassazione, allorchè vi si deduca la violazione di una norma processuale

Ricorso per Cassazione

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Precipitati dell’autosufficienza, in un ambiente di impugnazione a motivi tipizzati qual è il ricorso per cassazione, allorchè vi si deduca la violazione di una norma processuale
Principio cardine del sistema delle patologie processuali è quello per cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non ne commini espressamente la nullità, allorquando difetti dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156, comma 2, c.p.c.).
Orbene il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione di tale principio.
Ciò comporta – costituendo, il ricorso per cassazione, modalità d’impugnazione a motivi tipizzati con struttura peculiare, in quanto la trattazione si esaurisce nell’udienza di discussione, senza alcuna possibile attività di allegazione ulteriore (nelle memorie ex art. 378 c.p.c. si sviluppano le argomentazioni contenute nel ricorso senza poter allegare aliquid novi) – che il motivo di ricorso, ancorché la legge non esiga espressamente la sua specificità, debba, purtuttavia, esserne connotato, ossia articolarsi nell’enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo.
Orbene, la traslazione di tali enunciati in sede deduzione, ex art. 360, n.4, c.p.c., della violazione di una norma afferente allo svolgimento del processo nelle fasi di merito, fa sì che la denuncia del vizio processuale debba avvenire con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma processuale vulnerata.
Infatti, soltanto in tal guisa si consente alla Corte di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica.
Il principio di autosufficienza, dal canto suo, esige che l’onere di specificazione, in simile evenienza, debba essere assolto tenendo conto delle regole processuali che presiedono alla rilevazione dell’errore ed alla sua deducibilità come motivo di impugnazione.
Così, ad esempio, se ci vuol dolere dell’ammissione di asserite prove nuove in appello, nonostante ne fosse stata eccepita la novità, il motivo deve essere veicolato con l’indicazione, sia del momento di allegazione dell’eccezione, che del mantenimento della stessa fino al momento in cui il giudice d’appello ha ritenuto in decisione la causa.
Quindi, se ci si limita ad allegare di avere eccepito la novità della prova fin dall’atto di costituzione in appello e non anche di avere reiterato l’eccezione dopo l’ordinanza collegiale ammissiva delle prove e di averla mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni, esso sarebbe dichiarato inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, difettando di specificità e completezza.
In buona sostanza, un motivo così strutturato si appalesa  inidoneo ad assolvere allo scopo di configurarsi come valida critica alla sentenza impugnata, ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c., poiché costringerebbe la Corte a ricercare, negli atti processuali, di sua iniziativa, se e quando, dopo l’ordinanza ammissiva delle prove, l’eccezione fosse stata effettivamente mantenuta, svolgendo un’opera di supplenza del tutto inconciliabile con la logica del giudizio di cassazione, vieppiù considerandosi come alla violazione delle norme processuali risulti estraneo il potere di rilevazione d’ufficio.
tag: principio di autosufficienza, patologie processuali, atto processuale nullo, difetti dei requisiti formali, requisito di specificità, applicazione della norma processuale, atto di costituzione in appello, logica del giudizio di cassazione

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