Ricorribilità in cassazione dell’ordinanza 348 ter c.p.c.
L’ordinanza di inammissibilità dell’appello che il giudice emana, sentite le parti, qualora ritenga che l’appello non abbia una ragionevole possibilità di essere accolto, è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, ad esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass. Sez. U. n. 1914 del 2016).
E’ ben vero che l’art.348-ter c.p.c., non prevede alcun specifico mezzo di impugnazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello, ma le Sezioni Unite hanno acclarato che una lettura restrittiva, tale da escludere l’ordinanza in questione. dall’ambito di esperibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., non appare condivisibile.
Anzitutto, per l’esistenza di quella “norma di chiusura” del sistema delle impugnazioni, rafforzativa dell’effettività della tutela giurisdizionale, contenuta nel primo comma dell’art. 24 Cost., e di cui il ricorso straordinario costituisce, per l’appunto, il precipitato operativo.
In tale ottica, l’introdurre uno sbarramento alla ricorribilità, ex art. 111 Cost., dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, renderebbe incensurabile l’eventuale error in procedendo in cui sia incappato il giudice d’appello, senza nemmeno la possibilità, peraltro, di una sua veicolazione tramite il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado.
Ecco quindi che le Sezioni Unite hanno affermato l’impugnabilità ex art. 111 Cost. dell’ordinanza di inammissibilità prevista dall’art. 348-ter cod. proc. civ., per vizi suoi propri, consistenti in una violazione della normativa processuale.
Ma la violazione della normativa processuale si avrà anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza sia resa al di fuori della condizione sostanziale prevista dall’art. 348-bis cod. proc. civ., ovvero che l’impugnazione non abbia una “ragionevole probabilità di essere accolta”.
Infatti, il giudizio prognostico sfavorevole, espresso dal giudice d’appello nell’ordinanza ex art. 348 ter cod. proc. civ., si deve necessariamente sostanziare nella conferma di una sentenza ritenuta “giusta”, per essere l’appello, prima facie, privo di fondamento.
Ora, è chiaro come tale condizione non sussista allorchè, ad esempio, la corte d’appello la emani solo dopo aver corretto la motivazione della sentenza del tribunale, in quanto reputata inesatta.
Infatti, delle due l’una: o la sentenza di primo grado è corretta e quindi in grado di resistere, ex se, alle doglianze contenute nel gravame, oppure non è in grado di resistervi, necessitando di essere fondata su una diversa motivazione, ma allora, se non né in grado di fronteggiarle, non ricorrono le condizioni per dichiarare l’appello inammissibile ex art. 348-bis cod. proc. civ.
In tale seconda ipotesi, l’ordinanza, se emanata, sarebbe irreversibilmente viziata e il suo vizio consistente in ciò che si è adottata la forma di cui all’art. 348 bis c.p.c., quantunque essa abbia assunto, da un punto di vista sostanziale, i connotati di una sentenza, coì sfuggendo alla qualificazione ai sensi dell’art. 348 bis, pur conferitale dal giudice di appello.
Orbene, posto che a seguito dell’acquisita natura sostanziale di sentenza, una tale ordinanza avrà effetto necessariamente sostitutivo della decisione di primo grado, la quale deve intendersi espunta dall’universo giuridico, non potendo ivi vigere, per il principio di esclusività del criterio di valutazione giuridica, una duplicità di decisioni giurisdizionali del medesimo caso concreto, è giocoforza concludere che contro di essa possa dirigersi quella stessa impugnazione prevista dal terzo comma dell’art. 348 ter, nei confronti della sentenza di primo grado.
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