Principio di libertà di forme ex art. 121 c.p.c., ricorsi per cassazione “sandwich” e difetto di autosufficienza per … eccesso di informazioni
Il principio di libertà di forme, sancito dall’art. 121 c.p.c., consente senz’altro al difensore la possibilità di documentare la fondatezza delle proprie doglianze, non solo tramite l’utilizzo di espressioni verbali, ma anche avvalendosi di altre modalità di rappresentazione dei fatti.
Ecco, quindi, che sarà senz’altro possibile inserire, nel corpo dell’atto, fotografie, immagini e grafici, a condizione, tuttavia, che in tal modo non sia surrettiziamente aggirato il divieto, ex art. 372 c.p.c., di produzioni documentali in sede di legittimità.
L’inserimento delle immagini o dei grafici deve essere inoltre rispettoso del requisito di specificità del ricorso ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in virtù del quale il difensore è tenuto a precisare la fase processuale in cui l’atto richiamato sia stato ritualmente introdotto, nel contempo fornendone la puntuale localizzazione, ossia specificando ove, tra gli atti di causa, esso sia reperibile.
Deve tuttavia essere ben chiaro che tale possibilità ed il predetto principio non hanno nulla a che vedere con i requisiti di contenuto del ricorso stesso, il quale deve consistere di motivi ed argomentazioni espressi mediante la concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi e non già attraverso documenti o altre forme che impongono all’interprete operazioni di traduzione in discorso linguistico e magari anche di individuazione delle connessioni logiche tra i documenti stessi (Cfr. in motiv.ne, Cass. 17 maggio 2017, n. 12415).
Ciò per la ragione, di evidenza palmare, che, se così non fosse, si rimetterebbe totalmente alla Corte di Cassazione, destinataria dello scritto, la declinazione di esso in forma argomentativa, se non, addirittura, il compito dell’attribuzione di significato e di rilevanza a fini impugnatori ai segni, quali date, figure, espressioni non consistenti in frasi in tal modo variamente riprodotti, così mortificando il disposto dell’art. 366 c.p.c.
Non a caso Cass. 4 aprile 2018, n. 8245 icasticamente acclara che “… la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich” implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso”.
In altri termini, la tecnica espositiva dell’integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza, con conseguente sanzione d’inammissibilità.
Soltanto laddove il coacervo dei documenti integralmente riprodotti possa essere facilmente separato ed espunto dall’atto processuale (e così riconducendosi il ricorso a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità configurato nel modello legislativo del giudizio per cassazione) l’autosufficienza potrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi.
Detto altrimenti, il ricorso sandwich non sarà dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza, soltanto se esso risulti comunque sorretto da un discorso linguistico organizzato ed interamente percepibile e comprensibile come tale.