Possibilità di deduzione in Cassazione della violazione dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.: ovvero quale sia la “questione” rilevante, ai fini dell’applicazione della disciplina della previa sottoposizione alle parti del rilievo d’ufficio
La violazione dell’art. 101 c.p.c., (secondo cui il giudice, ove ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti, “a pena di nullità”, un termine “per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”) non può essere denunziata in relazione a qualsiasi questione che sia stata rilevata officiosamente, senza previa attivazione di contraddittorio.
La Cassazione ha infatti reiteratamente avuto modo di acclarare che la “questione” rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina della previa sottoposizione alle parti del rilievo d’ufficio è solo quella “di fatto”, oppure “mista di fatto e diritto” (cfr. Cass. 23/05/2014, n. 11453), in quanto il rilievo d’ufficio di questioni di mero diritto non mette mai il giudice nella condizione di emanare una sentenza, in violazione del diritto di difesa delle parti (cosiddette “della terza via” o “a sorpresa”).
Infatti, su consimili questioni, le parti sono ex ante facultate – sulla base dell’anche solo astratta o ipotetica applicabilità di norme de jure condito a fatti che, invece, restano quelli da esse dedotti – al più ampio esercizio del contraddittorio.
Giova inoltre soggiungere come nemmeno rispetto a questioni concernenti la sussunzione di una fattispecie sotto l’egida di questa o quella norma, ovvero concernenti l’ermeneutica di una norma, interpretata in un senso o nell’altro, sia consentita alle parti la possibilità di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie.
Ebbene, nell’ambito delle questioni di diritto, le quali, per loro natura, si ribadisce, non debbono essere sottoposte al previo contraddittorio, la giurisprudenza di legittimità ingloba le questioni processuali.
La ratio di tale sottrazione risiede nell’ampio spettro di controllo che l’ordinamento prevede per gli errores in procedendo, per i quali non solo è possibile il ricorso per cassazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ma addirittura la Corte di legittimità diviene giudice del fatto processuale, avendo conseguentemente accesso alla documentazione litigiosa.
Quindi, ad esempio, se il giudice rilevasse, d’ufficio, il difetto di tempestività dell’appello, per l’essere stato proposto fuori termine, l’appellante non potrebbe poi dolersi in Cassazione della violazione dell’art. 101 c.p.c., poiché la questione inerente alla tempestività dell’impugnazione, costituendo condizione di ammissibilità della medesima, può (e deve) essere d’ufficio controllata dal giudice dell’impugnazione.
Ma se l’appello era in realtà tempestivo e il giudice d’appello ha erroneamente rilevato d’ufficio in sentenza tale presunta intempestività, quid iuris? (ad esempio l’appellante aveva interposto l’appello il primo giorno non festivo con il termine naturale scadente il sabato o la domenica e rinvio al primo giorno non festivo successivo ai sensi dell’art. 155 c.p.c., ma il giudice non aveva considerato questo slittamento ex lege dei termini processuali per interporre l’appello) è motivo di ricorso per cassazione in diritto? sub specie violazione art. 155 c.pc. e non dell’art. 101 secondo comma c.p.c – che sanziona con la nullità della sentenza la violazione della garanzia del contradditorio – ?
Si versa in ipotesi di revocazione, in quanto il giudice ha erroenamente ritenuto feriale un giorno festivo