Requisiti di ammissibilità della denunzia di violazione, da parte del giudice di merito, dei canoni di ermeneutica contrattuale.
La violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale dev’essere necessariamente dedotta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, con la specifica indicazione, nel motivo di ricorso, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sarebbe discostato dai canoni de quibus.
Ove difettasse tale specifica indicazione, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, perorata dal difensore, si risolverebbe in una mera proposta reinterpretativa, dissenziente rispetto all’interpretazione censurata: operazione, questa, ovviamente inammissibile in sede di legittimità.
Quindi, se, ad esempio, il mezzo di ricorso si limitasse ad apoditticamente affermare che il giudice di merito abbia disatteso la comune intenzione delle parti (art. 1362 c.c.), ovvero non abbia rettamente vagliato l’ordito contrattuale scaturente dall’interpretazione concatenata delle clausole contrattuali (ex artt. 1363 c.c.), per poi sviluppare la dissenting opinion, rispetto all’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la “prospettazione della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto” da quella operata, bensì attraverso la contrapposizione, tout court, della lettura interpretativa ritenuta preferibile, esso esonderebbe dall’alveo del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) offrendo il destro a una pronuncia d’inammissibilità (cfr., in motiv.ne, Cass. n. 5968/2020)
Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi, già dallo stesso esaminati.
Una doglianza così articolata si traduce, infatti, nella perorazione della rinnovazione di una valutazione di merito (ontologicamente inammissibile, si ribadice, in sede di legittimità).
Si consideri, inoltre, come, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice al contratto non debba essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni plausibili, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra.