La deduzione di errori di diritto deve tradursi in specifiche e puntuali contestazioni delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche sottese alla controversia.
Affinchè la denuncia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (n. 3, art. 360 c.p.c.) non incorra in inammissibilità per difetto di specificità, essa non deve essere meramente enunciata nella rubrica del motivo, senza poi essere seguita da alcuno sviluppo argomentativo nel corpo del medesimo: infatti il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione
Quindi, non potrà che essere ritenuta inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto, i quali siano individuati tramite la sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia: critica che deve tradursi, lo si ribadisce, in specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, e giammai esaurirsi nella sterile contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. (cfr., in
motiv.ne, Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, 9 ottobre 2019, n. 25392)
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