Doglianza di omessa rivalutazione, da parte del giudice di merito, della somma da lui liquidata a titolo risarcitorio.
La rivalutazione monetaria costituisce una componente della obbligazione di risarcimento del danno, anche da inadempimento contrattuale e, per questa ragione, può essere riconosciuta anche d’ufficio.
Essa si configura quale mera componente della obbligazione risarcitoria e non, quindi, come un’obbligazione sé stante.
Il precipitato di tale sua natura è che essa non potrà costituire oggetto di un’autonoma domanda, in ordine alla quale possa configurarsi un’omessa pronuncia.
Traslando tale concetto alla stesura del mezzo di ricorso per cassazione, deve necessariamente argomentarsi come sarebbe infondato un motivo di ricorso per cassazione con cui si denunziasse l’omessa rivalutazione sotto il profilo della omessa pronunzia.
La corretta veicolazione in cassazione della doglianza de qua, infatti, non può che passare, anzichè dalla mancata pronunzia sul punto, dall’omesso riconoscimento di tale voce di danno, con contestuale illustrazione delle ragioni per cui questa avrebbe dovuto, nella scrutinata fattispecie, essere riconosciuta e articolando compiute censure di violazione di legge (art. 360, n. 3 c.p.c.) ovvero (ricorrendone i presupposti) di omesso esame di fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), ossia denunciando un error in iudicando. (Conf., in motiv.ne, Cass. 11 giugno 2019 n. 15711)