Il labile confine che separa la denunzia di violazione dello “statuto normativo” del mezzo di prova, dalla denunzia di erroneo apprezzamento del medesimo mezzo istruttorio: riflessi in ordine all’esatta individuazione del pertinente strumento di ricorso.
Se il giudice di merito valuta una determinata prova, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), si è in presenza di una violazione dell’art. 116 c.p.c., che dovrà essere dedotta ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. ).
Se, invece, si vuol contestare la portata confessoria o meno del contenuto dichiarativo dell’interrogatorio formale – dovendosi allora valorizzare, col mezzo di ricorso, una propria soggettiva interpretazione del contenuto dell’esame istruttorio – viene in evidenza, non un ipotizzato errore di diritto lesivo dello statuto normativo del mezzo di prova, ma un errore di fatto.
Questa doglianza, conseguentemente, dovrà essere veicolata attraverso il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (a patto, ovviamente, che l’inesatta valutazione della prova si ipostatizzi nell’omessa considerazione di un fatto storico, principale o secondario, ritualmente rappresentato in esito alla verifica istruttoria, e che, se valutato dal Giudice di merito, avrebbe condotto ad una diversa statuizione (cfr. Cass. Sez. 3, 10.6.2016, n. 11892; Cass. Sez. 3, 12.10.2017, n. 23940).