Inammissibilità del ricorso per cassazione, derivante dall’antinomia logica delle violazioni veicolate nel medesimo mezzo di impugnazione.
Il ricorrente non può, senza offrire il destro a una pronuncia d’inammissibilità del ricorso, mescolare e sovrapporre mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’ art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
Ciò perchè non è logicamente concepibile la prospettazione di una medesima questione sotto profili antitetici, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
Si consideri, inoltre, come l’esposizione cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa miri a demandare alla Corte di Cassazione il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’ art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; nonché, in motiv.ne , Cass. 13 settembre 2018, n. 22343).
Sempre in tema di antinomie logiche connotanti la struttura del motivo di ricorso, erano invero frequenti, nel vigore del vecchio testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., le pronunce di inammissibilità, provocate dalla contestuale censura, tramite il medesimo mezzo, dell’omessa motivazione (che sottende l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio) unitamente all’insufficienza della motivazione (che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi) e alla contraddittorietà della motivazione (che implica la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro).